Leonardo era anche un filologo? Il "Codice
Trivulziano" contiene ben 51 facciate sulle quali figurano 9000 vocaboli, circa
300 dei quali sono vocaboli latini accompagnati dalla relativa spiegazione.
Altrettanto enigmatiche sono parse alcune pagine del "Codice Atlantico", come il
f.367r , che contiene un elenco di 202 verbi, e il f.213Bv, con 44 vocaboli. Altre
notazioni di carattere linguistico si trovano sparse negli scritti vinciani.
A proposito degli elenchi di vocaboli volgari è stato ipotizzato che Leonardo avesse
intenzione di scrivere un vocabolario che regolasse e raffinasse l'uso della lingua
italiana.
Venne anche notato che alcuni di questi gruppi di vocaboli erano legati da relazioni di
sinonimia, opposizione, derivazione, e si ritenne addirittura che il maestro da Vinci
volesse compilare un trattato sull'origine e la natura del linguaggio, o scrivere una
grammatica della lingua italiana.
Formulando un'ipotesi meno azzardata, oggi si pensa invece che questi elenchi servissero a
Leonardo come punti di riferimento non per insegnare, ma per apprendere: per esercitarsi,
in altre parole, a compilare le sue relazioni scientifiche in un italiano proprio e
attinente e, perchè no, anche in uno stile in voga.
Gli umanisti arricchivano in quegli anni la lingua attingendo alle inesauribili scorte dei
latinismi e Leonardo era, in fondo, un lettore del Landino ed il
primo prosatore scientifico del Rinascimento.
Leonardo non era un uomo "sanza lettere".
Già intorno al 1485-90 i suoi scritti risentono fortemente dell'influsso dei novellieri
toscani, da Sacchetti a Boccaccio, per quanto non siano
particolarmente eleganti.
Se egli non sembra immune da reminiscenze petrarchesche e, soprattutto, di Dante, pare
anche che frequentasse molto autori comici come il Pulci, di cui
ricopia una strofa buffa, e che leggesse volentieri le "facezie" del Poggio.
Questi scrittori, del resto, sono tutti citati nel celebre elenco della sua biblioteca
presente al f.559r del "Codice Atlantico".
In quaderni speciali egli annotava le storie più divertenti per esibirle nelle sue
conversazioni con i principi, o, in altri casi, copiava per intero certe favole
moralizzanti che avevano per protagonisti animali, che erano state molto in voga nel
Medioevo, modernizzandole con l'inserimento di pensieri suoi o, a volte, arcaizzandole con
l'aggiunta di passi della "Storia naturale" di Plinio,
che era stata tradotta in volgare dal Landino.
Da un gruppo di appunti di grammatica latina, in cui sono predominanti gli specchietti
verbali, si è voluta dedurre l'intenzione del maestro di compilare un dizionario della
lingua latina.
Quanto però alle ambizioni di Leonardo come latinista, stando agli studi più recenti,
l'orizzonte si riduce drasticamente.
Ormai quarantenne, egli ancora si occupa delle coniugazioni non per scrivere una
grammatica, ma per impararle.
Tutte le citazioni latine del MS B attestano la lettura di un solo libro, che le contiene
tutte: il "De re militari" di Roberto Valturio, che
Leonardo lesse nella versione volgare di Paolo Ramusio.
Probabilmente i numerosi autori latini citati vennero letti da lui in volgare.
Del resto, la sua grafia latina non è propriamente da latinista ("produttam",
"michi contengit", "protter" per "propter").
Per quel che riguarda le parole latine con la loro traduzione in volgare, risulta che
egli abbia copiato parola per parola alcuni passi dei "Rudimenta grammatices" di
Niccolò Perotto (editi a Roma nel 1474).
Quanto poi alle pagine del "Codice Trivulziano" con i vocaboli elencati e
spiegati, è stato dimostrato che sono anch'essi copiati da un dizionarietto di
"vocaboli latini" composto da Luigi Pulci.
Leonardo, evidentemente, cercava di avere una lista dei latinismi della lingua italiana,
seguendo una raccomandazione rivolta agli uomini di cultura dell'epoca da Cristoforo
Landino, per il quale "è necessario essere Latino chi vuol essere buono
Toscano...ognuno si vede che, volendo arricchire questa lingua, bisogna ogni dì de'
latini vocaboli, non sforzando la natura, derivare et condurre nel nostro idioma".