Il "Codice Trivulziano" è uno dei quaderni con i quali inizia la
consuetudine vinciana di annotare osservazioni scientifiche, di raccogliere schizzi e di
stilare alla rinfusa quelle idee che riflettevano le attività artistiche in corso e i
pensieri del momento.
E', dunque, una miscellanea e, quanto al formato, si presenta grande più o meno quanto il
manoscritto A dell'"Institut de France" e poco più piccolo del manoscritto B.
Apparteneva al gruppo di manoscritti regalati da Galeazzo Arconati alla Biblioteca
Ambrosiana nel 1637, ma di qui venne sottratto per esservi sostituito dal manoscritto D.
E' stato recentemente stabilito dagli studiosi che la sua denominazione originaria era
"Libro F".
L'importanza di questo quaderno miscellaneo sta soprattutto nel fatto che, insieme al
manoscritto B, esso inaugura quella stagione di scrittura che accompagnerà gran parte
della vita di Leonardo.
Da questo momento in poi egli compilerà fogli su fogli, stendendo, con la sua minuta
scrittura speculare, osservazioni, frasi epidittiche, pensieri che non saranno mai
definitivi, ma sempre dialettici.
Con i quaderni egli può fare quello che non gli è consentito con le opere di pittura e di architettura: riprendere più volte i concetti, cambiarli, integrarli, riscriverli da zero. Espletare, insomma, quella tendenza alla riflessione ed al perfezionismo che tanto gli era rimproverata dai committenti, i quali vedevano spesso i lavori interrotti a metà o mai iniziati dopo una lunga serie di studi preparatori, (dice Vasari di Leonardo che molte opere iniziò a Firenze e "mai alcuna non ne portò a termine").
Quando inizia la stesura del "Codice Trivulziano" Leonardo si trova a Milano
da qualche anno. Non dipinge molto ed è assillato dalle richieste di progetti come ingegnere.
Ma, fra tanti impegni, uno lo assorbe particolarmente, ed ha un carattere architettonico:
è il famoso studio per il tiburio del Duomo, di cui tanta traccia resta anche nel
manoscritto B.
Le pagine iniziali del "Codice Trivulziano" sono segnate da piccoli schizzi
nervosi, che rappresentano in gran parte sezioni verticali delle strutture interne del
tiburio, il cui progetto impone a Leonardo una rivisitazione del concetto di edificio a
pianta centrale.
Infatti, come appare dai disegni del manoscritto B, egli immagina il corpo architettonico
che si deve innalzare sopra il transetto come un edificio a sè, quasi poggiasse sul
pianoterra.
E' a proposito di questo impegno progettuale che egli inserisce, in una lettera al
Consiglio di Fabbrica del Duomo, il paragone fra il medico e l'architetto, ripreso anche
nel "Trivulziano".
Le pagine di apertura di questo codice sono variazioni curiose sul tema del volto umano, caricature e disegni satirici che preludono a quelle famose pagine in cui Leonardo, in altri manoscritti, mostrerà la sua ridente irriverenza per alcuni miti del suo tempo, come il Petrarca.
Le pagine di vocaboli con la loro relativa spiegazione, che nel "Trivulziano"
hanno inizialmente fatto pensare ad un impegno di Leonardo come filologo,
si possono ben spiegare in un quaderno col quale egli inizia a dimostrare la sua passione
per la scrittura e intraprende il suo primo impegno come prosatore scientifico.
Che Leonardo non volesse scrivere una grammatica ma crearsi un prontuario di parole
eleganti e proprie necessarie alla sua prosa è un fatto confermato dagli studi recenti.
Del resto, in questo codice, l'interesse per la terminologia si accosta ad una notazione
(quarta nota sulla prima pagina) sui "settecentomila volumi" bruciati ad
Alessandria, che mostra l'interesse di Leonardo per la cultura scritta e per i libri,
fatto confermato dalla lista di cinque testi presente al foglio successivo (Donato, Plinio nella traduzione del Landino, il
"Morgante", il lapidario e l'abaco).
In questo codice, fatto eccezionale, la pittura, l'arte suprema nella concezione di
Leonardo, occupa meno spazio dei progetti per armi e della tecnica fusoria per ottenerle.
Solo due note del Trivulziano sarebbero passate nel "Trattato
della Pittura". Al f.74 si legge che "le cose di rilievo da presso, viste
con un sol occhio, paran simile a una perfetta pittura" e al f.75 ci sono le
osservazioni seguenti:
"Il mezzo ch'è infra l'occhio e la cosa vista, trasmuta essa cosa in nel suo colore,
come l'aria azzurra fa che le lontane montagne parano azzurre; il vetro rosso fa che ciò
che l'occhio vede dopo di lui, pare rosso; il lume che fanno le stelle dintorno a esse, è
occupato per la tenebrosità de la notte che si truova infra l'occhio e l'alluminazione
d'essa stella."
Queste proposizioni sono passate nel "Codice Urbinate", che doveva costituire
la premessa del "Trattato della Pittura".
Una nota sulla prospettiva è invece rimasta relegata nel "Trivulziano".