La prima concezione di questo trattato risale al 1490 circa, quando
Leonardo aveva meno di quarant'anni.
Ne contiene un abbozzo il manoscritto A dell' "Institut de France". Da quel
momento in poi il maestro non cessa di accumulare disegni, annotazioni, osservazioni su
quella trattazione della pittura che doveva rappresentare per lui un'opera preziosa, nelle
sue intenzioni la prima ad essere pubblicata come un trattato organico. Ma il progetto non
trovò compimento. Alla morte di Leonardo le carte sulla pittura vennero ereditate,
insieme alla gran parte dei manoscritti leonardiani, da Francesco
Melzi.
Del trattato Melzi stava curando il riordinamento quando morì, e la raccolta rimase in
uno stato provvisorio, inadatto alla pubblicazione.
Lo attestano le pagine bianche, le note di rinvio a paragrafi inesistenti, le frequenti
cancellature presenti nel "Codice Urbinate", che doveva costituire la versione
del trattato destinata alla pubblica diffusione.
Leggendolo non si riesce ad avere un'idea chiara dei capitoli previsti da
Leonardo, ma si ricava piuttosto l'impressione di un ammasso di idee accostate in modo
inorganico.
Inoltre, il trattato di Melzi spesso giustappone annotazioni che risalgono a diversi
momenti della vita artistica di Leonardo. Ad esempio, il libro III, che tratta dei
movimenti del corpo umano, passa poi stranamente a considerare il colore e la prospettiva
e riunisce frammenti databili, da una parte, fra il 1490 ed il 1500, dall'altra al 1502,
al 1505, e al 1513-17.
Eppure, di tutti gli scritti del maestro, questo fu il più fortunato, l'unico ad esser pubblicato nel XVII secolo, seppure incompleto e in una forma ben lontana da quella che doveva aver immaginato l'autore.
La pubblicazione del 1651, derivata dal "Codice Urbinate", si deve a Raphael
du Frèsne e fece di questo manoscritto il solo gruppo di fogli conosciuto dal pubblico
fino alle edizioni ottocentesche dei manoscritti.
Eppure, nell'ambito del "corpus" vinciano non è il trattato più completo nè
quello meglio progettato.
Per quanto il "Codice Urbinate" non presenti una struttura chiara, pure tutti
i curatori hanno lasciato intatta la suddivisione in nove libri.
Gli studiosi più recenti hanno proposto una struttura del trattato compatibile con l'idea
che Leonardo lo considerasse come un arricchimento ed un superamento dei manoscritti
anteriori ed hanno immaginato uno schema nel quale, ad un libro preliminare dedicato al
paragone fra le arti e destinato a fissare la supremazia "intellettuale" della
pittura, facessero seguito tre grandi libri, uno di teoria e due di consigli pratici.
Il libro di teoria sarebbe stato diviso in due parti: la prima dedicata alla prospettiva,
la seconda alla luce e alle ombre.
Il primo libro pratico avrebbe raccolto i capitoli sul disegno, il colore, lo studio della
figura, mentre il secondo libro pratico avrebbe trattato della rappresentazione della
natura.
La conclusione doveva contenere probabilmente tutte le considerazioni di ordine morale e i
consigli personali ai pittori.
E' nota la concezione leonardesca della pittura come un superamento della filosofia. Il
pittore, nella sua propensione all'interiorità, è come un uomo alle soglie di una
caverna buia, che aguzza lo sguardo per cogliere gli oggetti all'interno, e nel farlo è
invaso da due sentimenti opposti "paura e desiderio, paura per la minacciante e scura
spelonca, desiderio per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa".
("Codice Arundel", n.263, f.155r).
Il maestro esprime una concezione primariamente "visiva", se non addirittura "ottica" della realtà e il suo interesse si concentra soprattutto sul tema della luce, che nella sua idea è contemporaneamente strumento e sostanza: crea l'immagine, perchè interagisce con la struttura e l'involucro delle cose, e allo stesso tempo la trasmette. La luce colma lo spazio vuoto che esiste tra chi vede e l'oggetto veduto, e nello stesso tempo determina l'oggetto, le sue caratteristiche.
E' contemporaneamente interiorità ed esteriorità, ed in questo si avvicina alla
definizione dello spirito per i filosofi.
Leonardo, che sintetizza cultura pittorica e cultura scientifica, sa che
la fonte luminosa agisce nell'universo in due modi: secondo la struttura invisibile dello
spazio, che è ambito della matematica, e secondo le infinite possibili combinazioni fra
il principio negativo dell'ombra e del chiarore, che è dominio della pittura.
Egli evince, nelle sue osservazioni, dei dati di percezione della realtà che saranno
fondamentali per i pittori del XX secolo, in particolare per i cubisti: i fenomeni visivi
si dispongono in mille facce, scomposti in elementi proiettati a grande velocità su di un
reticolo di raggi luminosi allungati, a forma di piramidi dalle infinite intersezioni:
"Ogni piramide composta da lungo concorso di razzi contiene dentro a sè infinite
piramide e ciascuna ha potenzia per tutte e tutte per ciascuna.(...) Ogni corpo ombroso
empie la circunstante aria d'infinite sue similitudine, le quale da infinite piramide
infuse per essa rappresentano esso corpo tutto per tutto, e tutto in ogni
parte."(manoscritto A f.86v)
La pittura rispecchia l'universo, e l'universo è sia una struttura, sia una massa di
energia.
Allo stato naturale, gli oggetti comunicano all'occhio sia l'organizzazione ordinata della
struttura, sia la vibrazione dell'energia, e la pittura è il solo mezzo che possa captare
l'energia e catturare le forme, per dare un'immagine armonica della realtà.