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EZECHIA Pd. XX, 49
Cielo VI - Giove - Spiriti Giusti, Occhio dell'aquila imperiale, ciglio

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Pd. XX, 49-51
E quel che segue in la circunferenza
di che ragiono
(il ciglio dell'Aquila), per l'arco superno,
morte indugiò per vera penitenza.

Ezechia, appartenente alla discendenza di Davide, figlio del re Acaz, fu, dal 727 al 698 a.C. circa, il tredicesimo re di Giuda, uno dei due regni in cui, dopo la morte di Salomone, era stato diviso il regno di Israele.
Le vicende del regno di Ezechia sono narrate nel secondo Libro dei Re (cap. 18-20), e nel Libro del profeta Isaia, che ebbe parte attiva nella riforma religiosa e civile, promossa dal re contro i culti idolatri e gli influssi culturali stranieri che si erano ormai diffusi nel regno.

"Quando egli divenne re aveva venticinque anni; regnò ventinove anni in Gerusalemme. ... Fece ciò che è retto agli occhi del Signore, secondo quanto aveva fatto Davide suo antenato. ... Fra tutti i re di Giuda nessuno fu simile a lui, nè fra i suoi successori nè fra i suoi predecessori. Attaccato al Signore, non se ne allontanò ... Il Signore fu con Ezechia e questi riuscì in tutte le sue iniziative. Egli si ribellò al re d'Assiria e non gli fu sottomesso." (2 Re, 18, 1-7)

Il re d'Assiria nominato dalla Scrittura è Sennacherib (Pg.), figlio del re assiro Sargon II, che invano assediò Gerusalemme.
Sennacherib, pensando di indebolire la resistenza di Ezechia, gli inviò una lettera dove affermava che il Dio di Israele non l'avrebbe potuto salvare dalla potenza dell'esercito assiro.

Ma "in quella notte l'angelo del Signore scese e percosse nell'accampamento degli Assiri centottantacinquemila uomini. Quando i superstiti si alzarono al mattino, ecco, quelli erano tutti morti. Sennacherib re d'Assiria levò le tende, fece ritorno e rimase a Ninive. Mentre pregava nel tempio di Nisroch suo dio, Adram-Melech e Sarezer suoi figli l'uccisero di spada, mettendosi quindi al sicuro nel paese di Ararat." (2 Re 19,35-37)

Da questo episodio, narrato anche da Erodoto, Dante trae ispirazione per l'esempio di superbia punita raffigurato sul pavimento della prima cornice del Purgatorio.

Il verso con cui Dante chiarisce il motivo della salvezza eterna di Ezechia è un nodo critico di difficile soluzione.
I due passi biblici (2 Re 20, 1-11 ed Isaia 38, 1-20) che raccontano come, essendo malato ed avendogli il profeta Isaia annunciato la morte imminente, Ezechia avesse ottenuto da Dio ancora quindici anni di vita, sono del tutto concordi, perfino nelle parole, sullo svolgimento dei fatti.

Il senso dell'espressione dantesca "morte indugiò per vera penitenza" (Pd. XX, 51) rimane oscuro, poichè il testo biblico narra solo di un pianto dirotto che seguì la preghiera del re: "Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e pregò il Signore. Egli disse: 'Signore, ricordati che ho passato la vita dinanzi a te con fedeltà e con cuore sincero e ho compiuto ciò che era gradito ai tuoi occhi'. Ezechia pianse molto." (Isaia 38, 2-3)
Essendo fuori discussione un'imprecisione biblica in Dante, bisogna supporre che il poeta interpretasse il pianto dirotto del re come un segno di pentimento sulla scorta del successivo versetto 19 (Isaia 38) dove il re stesso proclama:

"Ecco, la mia infermità si è cambiata in salute!
Tu hai preservato la mia vita
dalla fossa della distruzione,
perchè ti sei gettato dietro le spalle
tutti i miei peccati."

Bisogna ricordare, del resto, che nella mentalità ebraica la malattia fisica era segno inequivocabile della malattia dell'anima.

Quando gli Spiriti Giusti, che vissero sotto l'influenza del pianeta Giove, si dispongono per Dante pellegrino in forma di aquila, a formare l'occhio si pongono gli spiriti più risplendenti, che "di lor gradi son li sommi" (Pd. XX, 36)
Davide, re di Israele ed autore dei salmi, è la pupilla, mentre i cinque beati che formano il ciglio sono Traiano, Ezechia, Costantino, Guglielmo II d'Altavilla, Rifeo.