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Terzo dei Patriarchi ebrei, Giacobbe era figlio di Isacco e Rebecca. Nonostante fosse fratello gemello di Esaù, venne considerato ai fini della successione il secondogenito, in quanto partorito per secondo. |
Per chiarire (Pd. XXXII, 68-72) il concetto di predestinazione Dante utilizza proprio questo passo della Scrittura, ricordando che, secondo la mentalità ebraica, i capelli rossi erano il segno inequivocabile dell'emarginazione divina.
Giacobbe ottenne, tuttavia, la primogenitura barattandola con un piatto di lenticchie con il fratello Esaù e riuscendo ad ottenere con l'inganno la benedizione paterna. Egli, infatti, si presentò al padre, ormai quasi cieco, rivestito di una pelle di pecora per simulare la folta peluria di Esaù.
Quando Esaù comprese la portata dell'inganno subito avrebbe voluto sfogare la sua ira sul fratello, ma questi era già lontano. La madre, infatti, lo aveva inviato presso suo fratello Labano, suggerendogli di scegliere come sposa una delle sue cugine.
Mentre sostava per la notte in un luogo isolato,
"(Giacobbe) fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa.". (Genesi 28, 12)
La scala di Giacobbe, simbolo, ampiamente utilizzato, della vita contemplativa era, tuttavia, parte integrante della spiritualità benedettina in generale (è esplicitamente citata nella Regola) e camaldolese in particolare.
Secondo l'interpretazione benedettina, la vita eremitica è la scala che porta gli uomini al cielo e porta in terra gli angeli a recare aiuto agli uomini, sulla scorta
dell'interpretazione dei Padri della Chiesa che ritengono la scala di Giacobbe immagine della Provvidenza divina.
Per altri la scala è anche prefigurazione dell'Incarnazione, il ponte gettato tra cielo e terra.
Giunto presso Labano, Giacobbe si innamorò della giovane Rachele e lavorò sette anni per il padre di lei per averla in moglie (Genesi 28-29). Al termine dei sette anni fu organizzata la cerimonia di nozze, ma il mattino seguente Giacobbe si accorse di avere accanto non l'amata Rachele, ma la sorella maggiore Lia.
Per ottenere anche Rachele egli dovette lavorare altri sette anni per Labano, ma dopo questo periodo, divenuto incredibilmente ricco, ed accortosi che Labano aveva intenzione di sfruttare ancora il suo lavoro con qualche pretesto, radunò mogli, figli, schiavi e bestiame e si allontanò di nascosto verso Canaan.
Durante la notte Giacobbè lottò con un essere misterioso (Genesi 32, 23-33) che, allo spuntare dell'alba, lo lasciò andare dopo averlo benedetto ed aver cambiato il suo nome da Giacobbe in Israele "perchè hai combattuto con Dio e con gli uomini ed hai vinto". Da quel momento Israele divenne anche il nome della gente che riconosceva in Giacobbe il suo capo.
Mentre Lia continuava a generare figli maschi, era ormai opinione comune che Rachele fosse sterile. Tuttavia inaspettatamente, dopo lunghi anni di attesa, anche Rachele diede alla luce un figlio, Giuseppe, che divenne il preferito, ed anni dopo morì dando alla luce il secondogenito Beniamino. Presto l'esasperazione dei figli di Giacobbe per la preferenza accordata a Giuseppe raggiunse l'apice e, trovandosi Giuseppe solo con loro a pascolare il gregge, lo catturarono, lo spogliarono delle sue vesti e lo vendettero a mercanti diretti in Egitto.
Alcuni anni dopo la carestia spinse i fratelli di Giuseppe a cercare cibo in Egitto. Giuseppe, divenuto vicerè, generosamente li accolse, insieme al vecchio padre Giacobbe ed a tutto il popolo, dando così inizio al periodo egiziano della storia di Israele.
In Egitto Giacobbe morì, mentre i suoi dodici figli divenivano i capostipiti delle dodici tribù di Israele.
In Inf. IV, 58, Virgilio spiega come l'anima di Giacobbe (Israele) sia stata liberata dal Limbo, con quelle del padre Isacco, dei dodici figli e della moglie Rachele, dal passaggio di Cristo nel tempo intercorso fra la morte e la resurrezione.