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Argomento del Canto XXIX

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Virgilio sollecita Dante, che si era fermato commosso a guardare i dannati della nona bolgia, ad affrettarsi perchè il cammino è ancora lungo. Dante, tuttavia, spiega la ragione del suo indugio: in quella bolgia avrebbe dovuto vedere un membro della sua famiglia.

Virgilio risponde che, mentre parlava con Bertram dal Bornio, un dannato lo aveva minacciato, ma poi, accortosi che Dante non lo aveva visto, si era allontanato: gli altri dannati lo avevano chiamato Geri del Bello.


Dante spiega a Virgilio il motivo dell'odio di Geri, cugino di suo padre: la famiglia non aveva ancora vendicato la sua morte violenta.

Parlando, i due poeti giungono al ponte che scavalca la decima bolgia.
Allora Dante è costretto a chiudersi le orecchie con le mani per non sentire lo strazio dei lamenti che giungono dal fondo della bolgia, simili a quelli che si possono ascoltare negli ospedali.
Il puzzo che sale dalla bolgia è poi paragonato all'odor di putredine che dovette prodursi nell'isola di Egina durante la pestilenza.
Scendendo l'argine dell'ultima bolgia, i due poeti scorgono i dannati: i falsari di metalli, di persone, di monete, di parole, che giacciono sul fondo della bolgia colpiti da varie malattie, ripugnanti ma non mortali.
Virgilio e Dante camminano in silenzio fra i dannati, ascoltandone i lamenti: i primi che incontrano, seduti sul fondo della bolgia, sono i falsari di metalli (alchimisti), coperti dalle croste della scabbia, che si grattano affannosamente. Dante scorge due dannati, appoggiati dorso contro dorso che dichiarano essere Griffolino d'Arezzo e Capocchio.