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PLUTO Inf. VI, 115; Inf. VII, 1-15
Cerchio 4 - avari e prodighi - guardiano

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Nella mitologia greca e romana Pluto era la divinità della ricchezza, figlio di Iasione e Demetra, dea della prosperità. Era rappresentato cieco per sottolineare come non facesse differenze morali fra coloro cui elargiva i suoi doni.
Dante lo pone, così, a guardia del Cerchio IV, dove sono puniti gli avari ed i prodighi.

E', tuttavia, possibile che Dante abbia fatto riferimento a Plutone, figlio di Saturno e signore dell'Averno, identificato con Dite (entrambi i nomi significano "ricco") da Cicerone (De natura deorum, II, 26).
Qualuque sia il riferimento mitologico, è certo che Dante tenne gran conto dell'etimologia del nome (Isidoro da Siviglia (Pd.), Etym., VIII, xi, 42: "Pluton Graece, Latine Diespiter vel Ditis pater"): l'appellativo "gran nemico" (Inf. VI, 115) richiama l'idea dantesca che la cupidigia è il peggiore nemico dell'umanità.

Pluto, come Caronte, Minosse, Cerbero, Flegias e Gerione è uno dei demoni pagani passati nell'inferno cristiano di Dante e collocati poi come guardiani dei vari cerchi, dopo essere stati trasformati in esseri demoniaci sulla traccia dell'interpretazione figurale dei Padri della Chiesa, concludendo, così, il processo di assimilazione della cultura classica, iniziato fin dalle origini del cristianesimo.

Le parole pronunciate da Pluto al suo apparire, (Inf. VII, 1) "Pape Satan, pape Satan aleppe!" sebbene oscure, non sono però prive di significato perchè al v.3 si intende che Virgilio le capì, al v.5 che Dante ne ebbe paura, al v.9 che sono un'espressione rabbiosa. Domenico Guerri giunse, così, all'interpretazione "Oh Satana, oh Satana Dio", inizio di un'invocazione al re dell'inferno contro gli intrusi viaggiatori.