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GIASONE Inf. XVIII, 86
cit. (Iason) Pd. II, 18
Cerchio 8 - bolgia 1 - Seduttori

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Figlio di Esone, re di Iolco, e di Polimede, l'eroe greco Giasone fu allevato dal centauro Chirone poichè lo zio Pelia aveva usurpato il trono. Raggiunta l'età adulta, Giasone si presentò a corte per riavere il suo trono e Pelia, con la segreta intenzione di vederlo morto, gli promise il regno solo se avesse conquistato il Vello d'oro, custodito nella lontana Colchide e lì portato da Frisso, figlio di Atamante e Nefele.

Per conquistare il Vello d'oro Giasone armò la nave Argo (Pd.) e radunò cinquanta giovani eroi greci, tutti di stirpe divina, che furono chiamati Argonauti (Pd.). Questa impresa, densa di difficoltà anche per l'opposizione di Eeta, re della Colchide, ispirò le "Argonautiche" di Apollonio Rodio (III sec. a.C.) ed ancora l'opera omonima di Valerio Flacco (I sec. d.C.). Uscito vittorioso dall'impresa, grazie anche all'aiuto di Medea, che di lui si era innamorata, Giasone fece ritorno a Iolco e poi si stabilì a Corinto, dove morì.
Numerosi santuari fiorirono nei luoghi ritenuti tappe del suo eroico viaggio.

Dante trae la figura di Giasone seduttore da Ovidio e, sulla scorta del poeta latino, insiste sull'inganno, l'aspetto essenziale del peccato, potendo in tal modo riversare tutta la sua simpatia sulla vittima e rendere ancor più ferma la condanna del seduttore.
In Dante, tuttavia, la condanna morale è spesso unita alla sincera ammirazione per altri meriti: Giasone, così, conserva la nobiltà e la magnanimità che furono sue in vita.